Avevano la tessera del Partito comunista, facevano parte della Resistenza, credevano nei diritti e nella libertà. Queste erano le loro colpe. Erano donne, tutte impegnate nell’antifascismo negli anni in cui questo significava sopportare emarginazione, violenze, processi e infine il carcere. Alcune di loro, rintracciate e processare dal Tribunale speciale per la difesa dello stato fascista, si trovarono a scontare la loro condanna a Perugia dal ’28 al ’43.
La storia – Istituito nel 1927, il Tribunale speciale era l’organo giuridico di regime incaricato di perseguire i criminali politici. Comunisti, partigiani: tutti coloro che con le loro idee e le loro azioni costituivano una minaccia per la dittatura. Le donne erano molte: Adele Bei, Maria Bernetich, Lucia Olivo, Giorgina Formica sono i nomi di alcune delle donne che furono incarcerate a Perugia. In tutta Italia, furono in 161, 23 nella prigione perugina.
Dopo la caduta del fascismo e la vittoria della democrazia, diverse di loro decisero di continuare il loro impegno, cresciuto spesso tra le fila della Resistenza, come parlamentari.
Combattenti coraggiose – Tra le partigiane che vennero incarcerate a Perugia c’è Giorgina Formica, figlia dell’antifascista Settimio e sorella di Luciano e Marcello. Nata a Spello, come i fratelli entrò a far parte della brigata Garibaldi di Foligno sin da giovanissima. La triestina Maria Bernetich nel carcere di Perugia fu rinchiusa due volte: la prima nel 1928, con l’accusa di “ricostituzione del Partito comunista”, e una seconda nel 1939, quando fu condannata a 16 anni di reclusione. Bernetich venne liberata alla caduta del fascismo e militò sia nella Resistenza italiana che in quella slovena.
Anime libere – “Socialmente pericolosissima e donna per la quale nessun pietismo deve essere invocato” veniva definita dal pubblico magistrato Adele Bei, prigioniera a Perugia prima di essere mandata al confino sull’isola di Ventotene. Finita la guerra, Bei entrò nella Costituente e venne poi eletta senatrice. Poi ancora Marcellina Oriani, che rifiutò di associarsi alla domanda di grazia che un suo parente aveva chiesto per lei, proprio come fece anche Valeria Wachenhusen. Donne coraggiose che per tutelare la libertà di tutti furono disposte a rinunciare alla propria.
Camilla Ravera – Nel capoluogo perugino è stata prigioniera anche Camilla Ravera. Protagonista della politica, prima nel Partito socialista italiano e nel 1921 tra i fondatori del Partito comunista, nel 1922 prese parte alla Quarta internazionale. Insegnante e redattrice per l’Ordine nuovo di Antonio Gramsci e in seguito de L’Unità, Ravera fu condannata nel 1930 a più di quindici anni di reclusione. Parte della sua prigionia la scontò proprio nell’ex carcere femminile di Perugia. Venne eletta alla Camera per due legislature. È stata la prima donna ed essere stata nominata senatrice a vita. A farlo fu il presidente della Repubblica Sandro Pertini nel 1982.
L’ex carcere – Luogo di detenzione e di dolore, di “gelido silenzio” e “tenebrose mura”, come recita la targa che ricorda le partigiane prigioniere, ma anche luogo di storia. È il vecchio penitenziario femminile di Perugia, dismesso dal 2006 e da allora lasciato a se stesso. Tra listarelle di legno malconce e grate alle finestre, ancora si sente l’eco delle scure note della storia del Ventennio fascista. In attesa che quell’edificio prenda nuova vita.