Non si estrae ma si calcola, non si tocca ma esiste nel mondo virtuale, non è regolamentato ma si usa per preservare ricchezza: è il Bitcoin, l’oro digitale del 21esimo secolo, tra tutte le criptovalute è la più famosa e utilizzata. Il settore è in rapida evoluzione ma altamente energivoro. Negli ultimi due anni sta vivendo una trasformazione green, alla ricerca del miglior compromesso possibile tra profitto e risparmio. Tuttavia, la corsa alla sostenibilità non è priva di ombre: mentre alcuni si affidano all’eolico e all’idroelettrico, altri continuano a impiegare i combustibili fossili.
Cos’è il Bitcoin – Il termine criptovaluta è ormai entrato nei dizionari di tutto il mondo, e il Bitcoin è uno degli esempi più celebri di moneta virtuale. Nato nel 2009 dal misterioso Satoshi Nakamoto, funziona grazie a un sistema che collega tante persone tra loro senza bisogno di un’autorità centrale, e usa una tecnologia chiamata blockchain per rendere sicure le transazioni, come spiegato in questi articoli (LINK).

‘Estrarre’ i Bitcoin – Come funziona quindi la produzione di Bitcoin? In gergo tecnico questa pratica viene chiamata mining, cioè estrazione, e si pratica con computer specializzati, molto potenti e con una connessione stabile e continua: per questo è un processo altamente energivoro. Secondo il Bitcoin energy consumption index, un indice che misura il consumo di queste criptovalute, il mining globale richiede circa 155 terawattora di elettricità in un anno, quanto l’Italia intera in sei mesi. Tuttavia, a fare la differenza è il tipo di energia impiegata. Come spiega Federico Rivi, giornalista e consulente Bitcoin, «per la stragrande maggioranza proviene da fonti rinnovabili: oltre il 56%, mentre si parlava del 30% solo un paio d’anni fa».


L’utilizzo di fonti rinnovabili nel mining
Oro più verde – Il Cambridge center for alternative finance ha stimato che il 62% dei miner di Bitcoin usa energia idroelettrica, crescono anche eolico, solare e nucleare. La svolta green di questo settore è legata a ragioni economiche. «Nei bilanci del mining, le bollette dell’elettricità sono tra le voci più pesanti – continua Rivi – quindi i miner cercano energia a basso costo, che oggi è quella rinnovabile». Un esempio ne è l’americana Riot, che ha costruito un impianto di mining in Texas, uno stato che «produce molta più energia di quella di cui industrie e abitazioni hanno bisogno» e rivende l’elettricità in eccesso «quasi a costo zero» ai miner.
Due velocità – Nonostante le prospettive, uniformare il tipo di energia impiegata nel settore è difficile. Chiunque può fare mining senza permessi, utilizzando le risorse delle reti pubbliche. Ciò rende complicato determinare il mix energetico e imporre obblighi. La Cina ha bandito transazioni e mining nel 2021 ufficialmente per l’impatto energetico, ma nonostante il divieto rimane il secondo Paese al mondo per produzione. «Questo dimostra che Bitcoin è una tecnologia autenticamente difficile da regolare», dichiara il consulente Rivi.
Energia pulita, ma quanta? – Un’altra criticità del mining riguarda il fatto che il suo bisogno di energia cresce anno dopo anno e non sembra destinato a fermarsi. «Bitcoin consumerà sempre di più, ma da fonti rinnovabili, perché costa meno e fa fare più soldi», conclude Rivi. Questo significa che, nonostante la crescente adozione di rinnovabili, il consumo globale continuerà a crescere anziché diminuire come auspicabile in un’ottica di sostenibilità. Anche se la trasformazione green del mining è in corso, è evidente che senza una regolamentazione delle risorse a livello globale, non sarà possibile ridurre l’impronta energetica complessiva del settore, contribuendo così a un ulteriore aumento della domanda globale di energia.