FoodPorn: ecco perché la pornografia del cibo dilaga sui social

Nasce in Sud Corea nel 2009: grazie a TikTok e Instagram oggi è un fenomeno di massa. Il mix tra gusto e disgusto: così l'estetica incarna le contraddizioni del consumismo
Il prof. Nencioni: «È un gioco di opposizione in una società che esalta il fisico e condanna l’obesità»

L’olio bollente delle patatine, il morso a un hamburger, le forbici che tagliano la pizza, il cornicione pieno di bolle e la mozzarella che fila, all’infinito. Tutto questo si chiama food porn: l’industria del cibo come stimolazione in tv, sul web e sui social. Come se la vista di un buon piatto potesse provocare, attraverso uno schermo, una forma di piacere simile a quella dell’orgasmo.

L’estetica pornografica – La correlazione tra gastronomia e pornografia va compresa andando oltre il senso comune: qui il termine “porn” è utilizzato per indicare la capacità di un oggetto di catturare l’attenzione. Il primo ad avere questa intuizione fu il semiologo francese Roland Barthes, che negli anni Sessanta presentava ai lettori una «pura cucina della vista» con fotografie di piatti magnifici, esasperati nell’estetica per stimolare il desiderio.

Giacomo Nencioni, docente di cinema e media digitali

Il food porn: differenze tra social e tv – Il food porn dei social non punta soltanto a questo, ma è qualcosa di più provocante dal punto di vista sensoriale. «L’esibizione oscena del cibo non basta: si vuole creare un’esperienza attraverso i suoni – spiega Giacomo Nencioni, docente di Cinema e media digitali all’Università per Stranieri di Perugia – è per questo che sui social ormai non si può più prescindere dall’amplificazione di tutti i rumori della cucina». Un linguaggio diverso da quello della televisione, dove l’industria estetica del cibo ha avuto inizio con il successo dei programmi di cucina. Trasmissioni che funzionano grazie a un montaggio video che detta il ritmo eliminando tutti i tempi morti, dall’acqua che bolle all’olio che si scalda. «Il coltello che taglia, lo sfrigolio in padella, sono cose che in tv non si sentono – afferma il regista Luca Romani – sui social i tempi sono più compressi: bastano 40 secondi per spiegare una ricetta, a volte non serve nemmeno scrivere gli ingredienti. In programmi come Masterchef sarebbe impossibile».

Matteo Grandi, giornalista

Valutare il cibo – Insomma, si direbbe che il food porn di Instagram e Tiktok funziona secondo una propria logica. «I social hanno iniziato a scandire il linguaggio della comunicazione, quindi anche quello delle recensioni. In più c’è il ruolo dell’estetica, un fattore entrato prepotentemente nel nostro modo di valutare le cose» sostiene il giornalista Matteo Grandi. Perché sempre più spesso ci affidiamo a queste piattaforme per farci consigliare ristoranti e ricette da provare.

L’evoluzione del food porn – Non è sempre stato così: il food porn delle origini si basava su un rapporto malsano tra cibo e persone. Tutto comincia sul sito di streaming video coreano AfreecaTV. Sorge qui nel 2009 il fenomeno del mukbang, una narrazione molto semplice che si basa sul consumo smodato di cibo: telecamera fissa sul soggetto che divora panini, pizze e dolci. In Italia è diventato celebre per questo lo youtuber Omar Palermo, scomparso prematuramente nel 2021. Il suo canale Youtubo anche Io è ancora oggi molto seguito e il suo ultimo video ha superato gli 8 milioni di visualizzazioni. Qui non è tanto il cibo ad essere protagonista, ma è l’atto di ingerirlo a provocare una reazione di piacere misto a disgusto.

Contraddizioni – Su Instagram e Tiktok si ripete la stessa sensazione, solo che al centro torna il cibo: fritto, grasso, pieno di salse e condimenti. Per Nencioni è questa la contraddizione della pornografia gastronomica, la tessera del domino che fa cadere tutte le altre: «È un gioco carnevalesco di opposizione in una società che esalta il fisico e condanna l’obesità. La stessa società che propone una quantità di cibo superiore a quella necessaria». Il meglio e il peggio del cibo, il piatto è servito.

Autore

Alessio Castagnoli

Classe 1996, abito in provincia di Bologna in un piccolo paese di montagna chiamato Lizzano in Belvedere. La stessa montagna che ho scelto anche per studiare, laureandomi in scienze della comunicazione a Bressanone. Curioso per definizione, credo nel motto giapponese "Homete nobasu", ovvero "far crescere lodando" attraverso il lavoro di squadra.