Fanno ridere, giocano con le convenzioni, sovvertono i pregiudizi. Possono essere cinici, irriverenti. Che siano immagini, video, musiche o anche una singola parola: non importa. Tutto può essere un meme. Ma quando è nato questo fenomeno che vive di condivisioni, like e visualizzazioni?

Il termine – Coniata nel 1976 dal biologo Richard Dawkins, la parola meme compare per la prima volta nel suo libro, “Il gene egoista”, in cui lo scienziato tratta la selezione naturale dal punto di vista della genetica. Per indicare un’entità di informazione replicabile, Dawkins parla di meme, giocando con la parola “gene” e rimandando al greco “mimema”, che significa imitazione.

Meme nella storia – È il 1919 quando sulle pagine della rivista The Wisconsin Octopus viene pubblicata una vignetta. L’illustrazione rappresenta un giovane uomo in posa, pettinato e ben vestito. Ma mentre nella parte sinistra appare affascinante, a destra il volto sembra una caricatura. Per far comprendere meglio il messaggio, alla vignetta sono accompagnate due frasi: “Come credi di essere quando viene scattata una foto”, “Come sei realmente”. Questo è considerato il primo meme della carta stampata.

Dalla carta alla rete – Ma è con l’arrivo del web 2.0 che quello dei meme inizia a diventare un vero e proprio fenomeno, dando vita a un nuovo linguaggio. Nel 2008, sul sito inglese 4chan, viene pubblicata l’illustrazione di una rana antropomorfa, con un’espressione triste. Era il personaggio di un fumetto, poi divenuto uno dei meme più famosi di sempre. Si tratta di “Pepe the frog”, conosciuto anche come “sad frog”, la rana triste.

Un nuovo linguaggio – Secondo Daniel Miller, considerato il pioniere dell’antropologia digitale, i meme sono «dei modi per esprimere un valore in una forma visiva completamente nuova, che non esisteva prima dei social media». In base a una ricerca da lui condotta in Asia, buona parte del loro successo sarebbe dovuta all’insicurezza delle persone: «Tanta gente preferisce condividerli perché non è molto sicura di sé e non ama rendere pubbliche le proprie opinioni».
Caratteristiche – Non è d’accordo Roberta Bracciale, docente di Sociologia dei media presso l’Univesità di Pisa e autrice del libro “La cultura pop online. I meme e le nuove sfide della comunicazione politica”. Secondo la professoressa Bracciale c’è un errore di fondo in questa dichiarazione, poiché ciò che contraddistingue i meme è proprio la variazione: «Un contenuto virale rimane sempre uguale, i meme no. Cambiano continuamente, possono essere adattati e personalizzati». Possono essere anche dei video: ad esempio i balletti su TikTok. «La musica e i movimenti da fare sono gli stessi – spiega Bracciale – ma chi balla cambia. Così come il luogo in cui lo si fa, la modalità di ripresa, eccetera». In questo modo si propagano nei Social e, così come per la genetica, sopravvivono solo quelli che funzionano: comprensibili, generalisti e ironici.

Da imitazione a rielaborazione e partecipazione – È con l’avvento dei social network che le vignette comiche da imitazioni statiche si trasformano in contenuti di qualsiasi genere, fino a prendere parte ai processi di rielaborazione di concetti, avvenimenti e stati d’animo. Aprendo le porte alla creatività: oggi sono migliaia le pagine sulle piattaforme social dedicate ai meme. Ma perché tanto successo? «Per molte persone rappresentano l’unico modo di partecipare – spiega Bracciale – sono un mezzo per veicolare l’informazione, permettendo a tutte le persone di comprenderla. E possiamo distinguere due tipi di partecipazione che nasce con la condivisione dei meme: la prima è di tipo individuale ed è più leggera, come le challenge. La seconda invece è di tipo connettivo: ci permette di posizionarci rispetto a un tema, lasciandoci essere noi stessi, ma insieme agli altri».

La guerra dei meme – È possibile stabilire il momento esatto che ha segnato il loro ingresso nel linguaggio politico contemporaneo. Durante la campagna elettorale delle prime elezioni di Donald Trump, scoppiò la cosiddetta “Guerra dei meme“. Racconta Bracciale: «I responsabili della comunicazione di Trump iniziarono a pubblicare nei social generalisti meme che descrivevano Hillary Clinton – la sua rivale alle presidenziali – come una donna debole e inadatta. Poi lo stesso Trump condivide un meme in cui ha le sembianze di Pepe the frog, che diventa così un simbolo per i suoi elettori».

La politica italiana non rimane a guardare: «La stessa frase “Io sono Giorgia, sono una donna, sono cristiana” è diventata un meme. Su internet – continua Bracciale – si contano migliaia di basi musicali che ripetono le famose parole pronunciate da Giorgia Meloni nel 2019. Sono passati sei anni, e ancora tutti noi ce le ricordiamo».
I meme più famosi – Arguti, ironici, immediati. Non basterebbero pagine per elencare i meme di maggior successo, ma non possiamo non ricordarne alcuni, come “disaster girl” (la nostra immagine di copertina): una bambina fotografata davanti a una casa in fiamme, mentre lei sorride soddisfatta. La foto è stata scattata durante un’esercitazione dei vigili del fuoco. Il secondo è “math lady”, una donna con sguardo dubbioso immersa in calcoli matematici, che nella realtà è l’attrice di una serie tv latino-americana. Sempre da una serie tv, molto più popolare, è stato estrapolato il meme di Dawson che piange, l’emblema della tristezza per i nati negli anni ’90. Infine “hide the pain Harold” – nascondi il dolore Harold – in cui un anziano signore sembra fingere che vada tutto bene. Pur sapendo che non sarà così.