L’Iran è un Paese tanto antico quanto controverso. Molte delle informazioni che riceviamo sono filtrate dalla censura del regime. Sono tanti, però, gli iraniani che alzano la voce di fronte ai soprusi della Repubblica Islamica. Chi si trasferisce all’estero ha sempre il timore d’incontrare un agente segreto del regime, pronto a controllare le sue attività contro il governo ritenute spesso sovversive. “Se parlo con te di tutto significa che non ho paura che tu sia uno di loro”. Questa è stata la prima affermazione che mi ha fatto Pegah, giovane ragazza giunta in Italia nel 2019 alla ricerca di un futuro migliore.
Com’è stata la tua infanzia in Iran?
“Tutto era in contrasto. Fino ai miei otto anni ho avuto un’infanzia bellissima, perché vivevo in una famiglia tranquilla e ricca. Potevo fare tutto quello che volevo: compravamo spesso dal mercato nero o dall’Ambasciata francese. Nel 2008, però, il governo e la crisi finanziaria ci hanno fatto sprofondare in una crisi profonda. Mio padre ha dovuto vendere il suo bazar di cemento e da quel momento ha cominciato fare uso di metanfetamina, così mia mamma ha deciso di separarsi da lui. Ho tentato più volte il suicidio per questo. All’inizio non potevo perdonarlo, ma con il tempo ho cominciato a farmi delle domande. Era veramente tutta colpa sua? E se il governo fosse stato diverso? Per lo Stato iraniano io ero un oggetto di sua proprietà, per questo non ho potuto vedere mia madre per 4 anni. Questa cosa mi ha rovinato l’infanzia. Il governo doveva stare con mia madre. Era lei la vittima.

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Quando hai capito che volevi andartene dal tuo Paese?
Ho studiato architettura nel mio Paese, ma sapevo che non sarei potuta rimanere lì. Dentro di me c’era una ragazza indipendente, che non voleva sottostare a regole stupide e senza senso. Pensa che a 14 anni sono stata arrestata per aver messo uno smalto nero sulle unghie. Le donne non possono nemmeno cantare lì e sono costrette ad indossare il velo, pena l’arresto. Il proibizionismo è il pane quotidiano di questo regime.
Che clima si respira oggi in Iran?
Hai presente “La fattoria degli animali” di George Orwell? Ecco, lì è descritta benissimo la situazione odierna. Una volta che sono cambiate le cose, cosa è successo agli altri animali? Esattamente quello che è accaduto in Iran. È una vera e propria dittatura. Il governo ha speso tantissimi soldi per plasmare i giovani a propria immagine, infatti le scuole non sono autonome. I muri sono tappezzati di foto dei leader della Repubblica islamica: Khomeini e Khamenei, due tiranni che hanno rovinato il mio Paese e gli iraniani”.
Come reagiscono gli iraniani a tutto questo? Ci sono delle proteste?
Noi non le chiamiamo proteste, ma rivoluzione! La maggior parte degli iraniani non vuole questo governo. L’Iran non è una terra islamica, ma persiana. Tanta, tantissima gente manifesta nelle piazze e per strada, ma i media occidentali si affidano solo alle immagini del regime. Il rinascimento del Medio Oriente è cominciato due anni fa ed è partito dalle donne iraniane. Sono orgogliosa di questo.
Hai paura che la tua attività possa influire sui tuoi familiari?
La libertà non è gratuita e costa, anche voi avete pagato con il sangue. Noi abbiamo una casa fatiscente. Se vogliamo ricostruirla, dobbiamo distruggerla. Ci saranno dei danni irreversibili, difficili da accettare, ma è così. Sono disposta a tutto, anche a pagare le conseguenze più pesanti.
E’ un po’ come nel gioco degli scacchi: sacrificare le pedine per vincere.
Non è un caso che gli scacchi siano un gioco persiano. C’è chi si interessa delle generazioni future e chi no. Non c’è un modo giusto di pensare. Io, però, non riesco a non preoccuparmi per il futuro del mio Paese e per la libertà della sua gente.