«Il cibo è presentato in un modo che trasforma la sua preparazione e il suo consumo in un’esperienza erotica, una celebrazione edonistica». Così, nel 1984, la giornalista Rosalind Coward definiva per la prima volta il termine “food porn”. Cibi fritti e unti, traboccanti di salse, mozzarella filante e bomboloni ripieni di panna. Oggi parliamo di immagini capaci di far gola con un solo reel. Un piacere voyeuristico che spopola nei social network, in netto contrasto con l’espressione più emblematica dell’esperienza culinaria: la cucina stellata fatta di tecnica, qualità degli ingredienti e concettualizzazione del piatto. Un’arte raffinata, in cui ogni piatto racconta una storia.
«Il cibo è presentato in un modo che trasforma la sua preparazione e il suo consumo in un’esperienza erotica, una celebrazione edonistica»
– Rosalind Coward
Due visioni opposte – Per alcuni, il food porn non ha nulla a che fare con l’arte della haute cuisine. «Ѐ un hashtag nato come provocazione. Parliamo di qualcosa di lussurioso, che mette gola»: così lo definisce Luca Vissani, figlio del celebre chef Gianfranco Vissani e responsabile di sala del loro ristorante vicino Todi. Per lui «un ristorante stellato offre un’esperienza sensoriale, come un atto teatrale». La differenza è evidente anche per Giulio Gigli, capocuoco di Une, stellato nel folignate: «Il food porn è qualcosa che invoglia la goduria immediata. L’alta cucina è la sintesi di un percorso, il linguaggio di uno chef».
L’estetica del gusto – Uno dei punti di contrasto più evidenti risiede nel differente “look gastronomico” delle pietanze. Per la cucina di lusso «non è solo l’impiattamento – spiega Gigli – è coerenza tra spazi, arredi, perfino le opere d’arte presenti nel ristorante». Ma questo culto della bellezza rischia di mettere in secondo piano l’autenticità. «Per me la ricerca estrema dell’estetica ha rovinato tanto la cucina – avverte Andrea Impero, chef stellato di Elementi Fine Dining a Brufa – il piatto deve parlare da solo».
I like non saziano, ma riempiono il locale – «Oggi per un ristorante è quasi più importante avere qualcuno che si occupi dei social piuttosto che un forno» dice Gigli. In un sistema in cui sembra impossibile gustarsi un piatto prima di averne postato una foto su Instagram, avere un proprio account è fondamentale per i ristoranti. Non tutti, però, sono entusiasti di questa dipendenza dai social. C’è il rischio che l’esperienza culinaria venga rovinata, dando più importanza alla buona riuscita di un post piuttosto che al piacere del pasto. È una cosa che Marco Lagrimino, che ha da poco lasciato la guida de L’Acciuga, primo stellato di Perugia, non sopporta proprio: «Mi arrabbio quando vedo clienti fare decine di foto prima di iniziare a mangiare. Il piatto si fredda e l’esperienza si perde».
“Siamo alla frutta” di Andrea Impero “Parthenope”, la pasta patate e cozze di Andrea Impero “Piccione viaggiatore” di Andrea Impero
Dal lusso al lussurioso – Eppure esiste un punto di unione tra food porn e fine dining. Lagrimino ammette un certo legame tra la sua cucina e la “pornografia alimentare” «non nell’estetica, ma nella parte goduriosa e facilmente comprensibile dal cliente». Secondo Gigli il food porn «oggi entra anche nei ristoranti stellati, ma viene raffinato, pensato e inserito in un percorso dove ha un senso, non è fine a sé stesso». Siamo in un periodo di transizione per la cucina, in cui il cibo di strada e i social influenzano irrimediabilmente anche l’alta ristorazione.

Un supplì gourmet – Sono due mondi diversi, ma non così distanti. È probabile che ci si ritroverà più spesso a gustare un supplì “al telefono” o un succulento panzerotto seduti al tavolo di un ristorante di lusso, senza però dimenticare l’identità culinaria che caratterizza i ristoranti griffati stella Michelin. In una bizzarra sintesi di “haute food porn“.