Un calcio ai pregiudizi: la vera storia delle calciatrici italiane

Nel '33 la prima squadra di donne in Italia. La giornalista Federica Seneghini: «Una sfida al regime, che poi le "indirizzò" verso altre discipline»
Giani, storico dello sport: «Il patriarcato e il maschilismo della società hanno ostacolato lo sviluppo e la diffusione della disciplina»

In Italia il calcio non è solo uno sport. Ogni fine settimana un pallone e ventidue giocatori uniscono e dividono milioni di persone in base al tifo e all’appartenenza. Il tempo sembra fermarsi per 90 minuti ma, in realtà, molto è cambiato da quando è nato lo sport popolare per eccellenza. Se è vero che calcio maschile e femminile condividono il luogo di nascita, quest’ultimo ha da subito dovuto lottare per affermarsi.

Le origini – La prima partita tra donne si gioca nel Regno Unito nel 1881 tra le precursori nazionali di Scozia e Inghilterra. Seguono altri scontri tra le due squadre, anche se i match successivi vengono interrotti da invasioni di campo, che costringono le giocatrici a lasciare il terreno di gioco. Insomma, i tifosi non riuscivano ad accettare che il cosiddetto “sesso debole” potesse praticare uno sport da sempre considerato maschile. Questo è uno dei primi ostacoli che si parano di fronte alle calciatrici: la stampa e la stessa federazione calcistica inglese tentano più volte di soffocare qualsiasi tentativo.

Federica Seneghini, giornalista del Corriere della Sera e autrice del libro “Giovinette”

Il fascismo – In Italia, invece, il calcio femminile nasce in un contesto completamente diverso. Nel 1933, a Milano, culla del fascismo, viene creata la prima squadra di calciatrici: il Gruppo Femminile Calcistico. Le premesse, però, non sono buone: la dittatura vieta alle donne di giocare a pallone. “Il regime punta molto sul calcio come sport di massa. I calciatori sono già considerati dei beniamini” afferma Federica Seneghini, giornalista del Corriere della Sera e scrittrice del libro “Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce”. “Ad alcune tifose ed appassionate di sport – continua Seneghini – viene in mente di giocare a pallone, perché è il loro sport preferito e non per protesta politica”. Non è questo, però, il ruolo che la dittatura fascista cuce loro addosso: essere delle brave mogli è l’unica strada percorribile e il calcio le avrebbe rese impudiche e più indipendenti. Per questo motivo, Mussolini le allontana dal calcio per indirizzarle verso altre discipline, anche perché nel 1936 si sarebbero svolte le Olimpiadi, un’occasione d’oro per diffondere l’immagine di un Paese sano e forte.

Marco Giani, storico dello sport

Il dopoguerra – “Tra il ’47 e il ’48, le donne ricominciano a giocare a pallone, soprattutto in Piemonte e a Trieste”. Marco Giani, affermato storico dello sport, racconta come in breve tempo nascono molte squadre, ma ad inizio anni ‘50 si ha un’improvvisa battuta d’arresto. «Il patriarcato e il maschilismo della società hanno ostacolato lo sviluppo e la diffusione della disciplina» afferma Giani. Nel 1958, però, il movimento risorge, ma i tempi non sono ancora maturi per una definitiva affermazione. Appena un anno dopo, infatti, prefetti e questure impediscono qualsiasi attività calcistica femminile. La svolta si ha nel 1965, quando Valeria Rocchi, ex atleta e tifosa del Bologna, organizza una partita femminile di rievocazione dell’unico spareggio scudetto nella storia della Serie A, disputato allo Stadio Olimpico di Roma. La partecipazione è tale da poter considerare questo il momento dell’affermazione dello sport nel nostro Paese. Nel Sessantotto, infine, nasce la Federazione Italiana Calcio Femminile.

Oggi – Negli ultimi 40 anni si sono fatti passi da gigante: dal riconoscimento ufficiale della disciplina da parte della FIGC nel 1986 fino al tanto agognato professionismo, che viene riconosciuto nel 2022. Ci sono altre due tappe fondamentali per questo sport: nel 2016 le società professionistiche maschili cominciano a collaborare con il settore femminile, mentre nel 2019, in occasione dei mondiali, viene trasmesso per la prima volta un evento di calcio femminile in tv. Si tratta del momento di massima visibilità della disciplina che, sempre più, rappresenta un’opzione valida a prescindere dalla sua controparte maschile.

Autore

Dario Famà

Mi chiamo Dario e sono un ragazzo di 26 anni con una grande passione per il giornalismo e la politica. Sono laureato triennale in scienze politiche e sociali e ho conseguito la laurea magistrale in amministrazione politica. Mi considero un ragazzo solare e determinato che ama guardare il calcio e giocare a tennis.