«Ecco perché dietro al disagio giovanile in realtà ci sono gli adulti»

Lo psicologo Matteo Lancini: «Ai ragazzi serve più comunicazione e un rapporto solido con genitori e insegnanti: bisogna ripartire dalla scuola»
Il disagio giovanile è una piaga in crescita: secondo l'Unicef si suicida un adolescente ogni 10 minuti, mentre 1 su 7 soffre di patologie mentali

24,3 milioni di visualizzazioni in soli quattro giorni dalla messa in onda e 97 milioni in tre settimane, episodi girati in piano sequenza e una storia che ha portato molti genitori a pensare: “Il protagonista poteva essere mio figlio”. Questa è Adolescence, la serie Netflix trasmessa per la prima volta il 13 marzo, che il primo ministro britannico Starmer ha proposto di trasmettere nelle scuole del Paese. Quattro episodi per raccontare il caso – ispirato a una storia vera –  dell’omicidio di Katie Leonard, una tredicenne uccisa dal suo coetaneo Jamie, che non accettava il suo rifiuto. «Il successo della serie dipende da molti fattori – dichiara lo psicologo Matteo Lancini – questa storia parla di adulti, non di ragazzi. Nella famiglia e nella scuola di Jamie non c’era un adulto significativo, e laddove questo manca, il potere orientativo della rete aumenta».

Lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini

Disturbi psichici e alimentari, insonnia ed esplosioni di violenza: sono solo alcune delle forme in cui si manifesta il disagio giovanile, «una condizione complessa del periodo dell’adolescenza – si legge sul sito dell’Istituto di ricerca Mario Negri – in cui si mettono assieme i mattoncini che formano l’identità personale e si costruisce il modo in cui si agirà da adulti». Un fenomeno che sembra essere in crescita.  Secondo uno studio dell’Unicef del 2021 infatti, un adolescente su 7 soffre di un problema di salute mentale. Un dato che diventa ancora più allarmante se lo si lega a quello per cui ogni anno nel mondo si suicidano 46mila ragazze e ragazzi tra i 10 e i 19 anni, uno ogni 10 minuti. Alla base del disagio giovanile, sostiene Lancini, c’è il deterioramento del modello dell’adulto: «Abbiamo distrutto la società, diamo poco valore alla vita umana, ci sono 50 guerre nel mondo: eppure, pagine e pagine di esperti sostengono che il disagio deriverebbe dai videogiochi o dalla musica trap».

Se sommiamo il tasso di dispersione scolastica con la denatalità, tra poco le scuole chiuderanno. Perché non cambia nulla? Perché significherebbe fare una scuola per gli studenti anziché per noi. Significherebbe chiamarsi adulti.

Matteo Lancini

La storia vecchia delle nuove generazioni in difficoltà – “La gioventù d’oggi è senza ritegno e pericolosa”: un’espressione che si sente spesso e che appartiene al poeta greco Esiodo, vissuto più di 2800 anni fa. A dimostrazione del fatto che percepire i giovani come problematici e fragili non è affatto una “novità” del presente. Il motivo di tale disagio lo spiega Sofocle, dall’Atene di 2400 anni fa: il drammaturgo sosteneva che laddove l’educazione – la paideia – mancasse, ciò rendesse i giovani inutili per la famiglia e la società intera. Ed è proprio dall’educazione scolastica che anche Lancini propone di partire, per aiutare le ultime generazioni a ritrovare il benessere: «Quando un adolescente non è a scuola è sicuramente in un luogo peggiore. Ma (l’istruzione deve, ndr) diventare un luogo a misura di studente, deve cambiare e adattarsi: perché dobbiamo continuare a perquisire per cercare i cellulari come se gli alunni fossero dei delinquenti, e valutiamo l’apprendimento come si faceva nell’epoca di mia nonna?».

Stiamo. Stiamo fermi, stiamo in ascolto, attenti, concentrati, scomodi, con la sensazione di avere appena ricevuto un pugno nello stomaco, ma stiamo.

Matteo Lancini, “Chiamami adulto – Come stare in relazione con gli adolescenti”

“Chiamami adulto” è il titolo dell’ultimo libro dello psicologo Lancini, terzo volume della trilogia “L’età tradita”, che rivela che ciò di cui hanno bisogno i giovani sono le relazioni autentiche: «I contenuti a scuola contano meno che in passato: è fondamentale il rapporto con gli insegnanti. In famiglia, non serve a nulla stare senza cellulare a tavola se poi lo si riprende subito dopo. Bisogna chiedere ai propri figli, faccia a faccia: tu pensi al suicidio? Ti vedi brutto o bello?». Il consiglio dello psicologo è di comunicare di più: «Bisogna parlare di quello che i ragazzi non vedono l’ora di dire. Gli adolescenti di oggi non sono trasgressivi, cercano solo un adulto capace di chiedere loro: “Chi sei?”».

Autore

Francesca Belperio

Romana, classe '01. Laureata in Giurisprudenza alla LUMSA, ho scritto per il suo magazine Aìko. Nel 2022 ho trascorso due mesi negli Stati Uniti per frequentare la School of The New York Times. E adesso faccio tappa a Perugia, prima di approdare sulla prossima testata.